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Sezione Articoli
Titolo Suono Differenziale
Rivista Rockerilla [n.103 - marzo 1989]
Autore Vittore Baroni
Contenuto

Per descrivere il sound di un nuovo gruppo si è soliti ricorrere a raffronti con altre situazioni più note, ma nel caso dei romani Gronge, oltre a procurare loro un grande dispiacere, rischierei di fare un buco nell'acqua, tanto variati e multiformi sono i riferimenti presenti nella loro musica, imprevedibili e fulminei i mutamenti di rotta.

Già, perché ci vuole poco a scrivere "sperimentale" quando non viene rispettata la grammatica del rock, o "industriale" se ci sono di mezzo sintetizzatori e rumore, ma poi di formazioni con queste caratteristiche ne esistono a centinaia, ognuna con una sua fisionomia più o meno valida, più o meno in linea con le diverse sintassi "avantgarde" (ovvero, anche la musica più trasgressiva ha i suoi codici e i suoi stereotipi).
I Gronge, a mio avviso, fanno parte di quella mai troppo frequentata classe di "irregolari" a cui va stretta ogni forma di classificazione, perché si appropriano di tutto ciò che in qualche modo li incuriosisce (punk, folk, funk, jazz, elettronica, improvvisazione, etc.) e dopo averlo addentato e masticato lo risputano fuori in una forma sbilenca, attraente e repulsiva come un quadro art brut (dipinto da Dubuffet o forse da un folle, non fa differenza).
Formatisi nella primavera del 1985, i Gronge hanno messo in circolazione dopo alcuni mesi un interessante nastro, da poco ristampato su vinile (Classe Differenziale). Nel 1986, rigorosamente autoprodotto, esce il LP "Fase di Rigetto", ricco campionario di suoni e immagini metropolitane: finalmente un progetto che non vuole solo "scaldare gli animi" o far battere il piedino, bensì comunica con linguaggio crudo e disincantato la rabbia e l'insofferenza per le molte piccole-grandi ingiustizie che siamo quotidianamente costretti a subire. Nelle dodici tracce, voce e strumenti dialogano, eseguendo intricati ghirigori musicali dai ritmi spezzati, in un clima prevalentemente teso e claustrofobico, ansioso, fortemente emotivo. Del 1987 è il LP "Gronge & Move", spartito a metà con un'altra band romana, mentre lo scorso anno i Gronge sono comparsi con tre brani nella compilazione di Amen "La nave dei folli".
In queste prove, parimente consigliabili, il gruppo ha messo in lucesoprattutto un'attitudine istintiva e aperta, nell'uso di strumenti "poveri" e tradizionali, e una linea rigorosa nelle scelte pratico-teoriche, per quanto riguarda il significato e l'uso sociale del prodotto-musica. Era dal tempo degli Area (senza dimenticare Franti, a cui i Gronge sono stati spesso paragonati, per affinità "militante" più che stilistica) che da noi certe cose non erano dette in maniera così chiara ed efficace.
Il rifiuto delle mistificazioni e dei meccanismi di "divismo" che stanno dietro anche ai fenomeni musicali più sotterranei, nonché la volontà di indirizzare l'interesse del fruitoreesclusivamente sulla proposta sonora, ha indotto i Gronge a non stabilire con precisione sulla carta nomi e ruoli dei componenti. In un recente concerto, per la rassegna ternana "Elementi Variabili", si sono presentati sul minuscolo palco in tredici, suonando fra l'altro vecchi termosifoni e ogni cosa a portata di mano, con una gestualità e un'irruenza che chiama alla mente gli happening dei Dilettanti Geniali berlinesi (anche se qui l'aspetto tribale-percussivo non è mai preponderante). Configurata come un "collettivo" più che secondo una tradizionale line up, ovvero con prestazioni anche temporanee di amici e non-musicisti, della famiglia Gronge va menzionata ugualmente Tiziana Lo Conte quale voce tagliente ed espressiva, cifra distintiva dell'intero repertorio. Marco Bedini e Alessandro Denni rappresentano il cuore ritmico e la mente organizzatrice del progetto, la sassofonista tedesca Inke Küll ne costituisce l'anima jazz, il chitarrista Paolo Taballione (già nei Carillon del Dolore e Christian Death) porta il suo contributo di linfa rock, completano in ordine sparso l'organico vecchi e nuovi collaboratori come Michele Frammolini (chitarra), Enzo Caruso (basso), Piero Finocchi, Fabrizio Sibilia, Alessandro Bedini, Roberta Strano, Massimiliano Di Loreto (ne ho certamente dimenticati molti).
Ciò che segue è la sintesi di una lunga e un po' caotica chiacchierata condotta "a distanza". Spero di aver identificato correttamente voci e spunti di un qualche interesse.

Con quali obiettivi sono nati i Gronge?
Marco: Prima, con l'entusiasmo dei vent'anni, vedi il gruppo come una prospettiva esaltante, ti basta suonare, con una carica che può essere sicuramente positiva ma non è mirata, non è che ti prefiggi dei punti di arrivo. Per me, fondamentalmente, è stato scoprire che si poteva stare fuori da casa dalle nove alle undici con un altro motivo che non fosse dover andare al muretto o a far altre cose del genere.Alessandro: Io prima facevo disco music, altri suonavano r'n'r, i Gronge sono stati un mezzo per esprimere meglio la nostra situazione reale.

Come giudicate a quattro anni di distanza la vostra prima cassetta "Classe Differenziale"?
Marco: Se la ascolti è ancora abbastanza attuale, ecco perché al momento i Gronge non vengono capiti, c'è uno scarto di quattro anni!
Alessandro
: Penso sia la cosa più fresca che abbiamo fatto, si sente che suonavamo assieme solo da tre mesi, si avvertono meglio le nostre esperienze precedenti, giri e ritornelli, cose che poi abbiamo abolito.
Marco: Mi pare che ogni pezzo abbia costituito poi un faro per tutti i brani seguenti di quel tipo. "Grido chimico" ha rappresentato la parte ipnotica, di situazione. "Giorno fatale" la parte tirata ma continuamente intercalata da soluzioni strane, come "Scenografia di un teatro immaginario". "S.A.D.C." e "Graffiti" sono i brani con struttura più andante, più rockettari. In un certo senso "Classe Differenziale" è il nostro "papà".

Venite spesso definiti un "gruppo politico" solo perché trattate di argomenti concreti e quotidiani, non dovrebbe piuttosto meravigliare il fatto che la stragrande maggioranza dei gruppi rock affrontino temi stereotipi e puerili?
Marco
: Non esiste una canzone che non sia politica, da quando esiste la storia della musica, a maggior ragione quando non si parla direttamente di politica. Il fatto è che l'arte si è spostata alla periferia del sistema sociale, non è più importante come nei secoli andati. Oggi il musicista è molto più intrattenitore, molto più buffone di quanto poteva essere un giullare di corte. Proprio perché si è andato perdendo il senso, il significato di fare musica. Se tu in lirica esprimi una protesta sociale come ha fatto Luigi Nono con "La fabbrica illuminata" col testo di Pavese, se tu ti esprimi con quella forza, con quella penetrazione, il tuo messaggio, la tua arte si mantiene gravitazionalmente vicina al centro del sistema. Mentre invece se lo dici con la leggerezza, la trascuratezza, la banalità che può essere quella di un Paoli, un Baglioni, un Venditti, ecco che tutto il peso si sposta al margine. Apparentemente, la velocità con cui viaggiano oggi le informazioni è un vantaggio rispetto ad altre epoche, però questo vantaggio si perde perché chi usa questi mezzi di comunicazione sono sempre gli stessi, devi sempre avere i soldi, il controllo...

So che non amate apparire in foto promozionali, non esiste una maniera di mostrarsi senza diventare automaticamente "prodotto-oggetto"?
Alessandro: Da parte nostra c'è stato un recente cambiamento rispetto a questa cosa, diciamo che ci abbiamo messo tre anni per fare una foto "consapevolmente"...
Marco
: Non siamo contrari all'immagine di per se, siamo contrari all'immagine "stronza". Sappiamo che i media richiedono un certo tipo di foto carine, ma potremmo anche farne una in cui siamo in venti, o fermare delle persone per la strada, farle mettere in posa e poi distribuire la foto ai giornali: ecco i Gronge! Nella foto per Rockerilla si vede solo Inke, non perché sia la più importante del gruppo, ma perché l'immagine ci pareva esprimere qualcosa. Di volta in volta puoi decidere di diversificare il solito piattume di proposizioni.

I brani sono firmati da Alessandro Denni e Marco Bedini, come si inseriscono tutti gli altri in fase di composizione?
Alessandro
: Io e Marco siamo iscritti alla SIAE, ed è quindi solo per motivi fiscali-burocratici che appaiono i nostri nomi. I pezzi li creiamo tutti assieme, solitamente da una idea di base su cui ciascuno ha la massima libertà di mettere quello che gli pare.

Perché titolare il vostro nuovo LP "A Claudio Villa"?
Marco
: Villa piaceva ai nostri padri, credo, per cui ci è sembrato doveroso un omaggio, non è una presa per il culo e non è una mossa scandalistica, è un riallacciamento al passato.

E' stato registrato in condizioni più favorevoli, rispetto ai precedenti dischi autoprodotti?
Marco
: Il disco è completamente nostro, suonato e prodotto da noi. Siamo passati da un walkman a un 24 piste, da 1 millimetro a due pollici del nastro, l'ottimale sarebbe comunque una sala di registrazione autonoma.
Alessandro: Se non ci fosse stata questa fantomatica Zounds Records, non saremmo riusciti a far uscire un nuovo disco in questi tempi, magari dovevamo aspettare un altro anno.
Marco
: Credo che ancora non sappiamo lavorare in studio, manca fra noi l'elemento capace di impostare il lavoro. Personalmente, preferirei lavorare in modo diverso, in diretta, non registrando una traccia per volta. E non entrare in studio con brani già pronti, ma con spunti da elaborare.

Paolo
: Mi pare che siamo comunque riusciti a tradurre l'energia che abbiamo dal vivo, anche in quella situazione. Erano tre anni che non entravo in studio, e per me non è stato semplice. Forse i suoni del disco non sono esattamente ciò che intendevamo, ma è un passo avanti rispetto a quanto fatto prima.

Un giudizio in breve della scena italiana: le responsabilità per le attuali carenze, come le dividereste fra pubblico, discografici, media musicali e musicisti?
Alessandro
: Penso che quanti tentano di sfruttare questa scena per ricavare ventimila lire siano i peggiori...

Marco
: E anche i più stupidi, vogliono fare due soldi adesso da una situazione che ancora deve nascere. Noi abbiamo venduto mille copie da soli dei nostri dischi, e dicono che ci è andata anche bene. I piccoli etichettari si mangiano una palla di pongo convinti che sia di pollo.

Alessandro
: Chi paga è solo il gruppo, che dopo quattro anni non ha i soldi per farsi un manifesto, mentre le riviste in fin dei conti si vendono, lo studio lo devi pagare, se mancassero i musicisti questa gente come camperebbe?

Esiste ancora un "movimento" (di idee, di aspirazioni) in qualche modo collegabile al rock, oppure si tratta solo di illusioni covate da pochi cani sciolti, e il rock incarna soltanto una rivolta fisica-epidermica (per cui un gruppazzo metal o l'ultima novità underground non fa differenza)?
Marco
: Il movimento per eccellenza si ha quando c'è un contrasto di idee, idee in movimento che scivolano una verso l'altra, che hanno un fulcro su cui girare attorno. A me sembra che nella maggior parte delle persone, in ambito non solo rock-jazz-chiamalo-come-ti-pare, non si siano stimoli, non c'è nè fulcro nè mezzo nè idea. Ci sono dei paraocchi, dei paraorecchie e paracervello che ti danno la sicurezza matematica di ciò che andrai ad ascoltare o ciò che ti andrai a mettere addosso.
Alessandro: Per il 95% della gente la musica non è vissuta come necessità sociale o che, ma solo come momento di divertimento. Se guardi Videomusic, cinque minuti ci sono gli Europe, cinque minuti dopo i Joy Division, poi un gruppo metal, non c'è alcun processo attivo in tutto ciò.

Qualcosa da aggiungere?
Marco: Non ci piacciono le interviste, anzi, vorrei fare un'intervista a un intervistatore, o meglio, vorrei recensire le critiche discografiche, non scherzo, sarebbe il sogno della mia vita!