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Per
descrivere il sound di un nuovo gruppo si è soliti ricorrere
a raffronti con altre situazioni più note, ma nel caso dei romani Gronge,
oltre a procurare loro un grande dispiacere, rischierei di fare un buco
nell'acqua, tanto variati e multiformi sono i riferimenti presenti nella
loro musica, imprevedibili e fulminei i mutamenti di rotta.
Già, perché ci vuole
poco a scrivere "sperimentale" quando non viene rispettata
la grammatica del rock, o "industriale" se ci sono
di mezzo sintetizzatori e rumore, ma poi di formazioni con queste caratteristiche
ne esistono a centinaia, ognuna con una sua fisionomia più o meno valida,
più o meno in linea con le diverse sintassi "avantgarde"
(ovvero, anche la musica più trasgressiva ha i suoi codici e i suoi
stereotipi).
I Gronge,
a mio avviso, fanno parte di quella mai troppo frequentata classe di
"irregolari" a cui va stretta ogni forma di classificazione,
perché si appropriano di tutto ciò che in qualche modo li incuriosisce
(punk, folk, funk, jazz, elettronica, improvvisazione, etc.) e dopo
averlo addentato e masticato lo risputano fuori in una forma sbilenca,
attraente e repulsiva come un quadro art brut (dipinto da Dubuffet
o forse da un folle, non fa differenza).
Formatisi nella primavera del 1985, i Gronge hanno messo in circolazione
dopo alcuni mesi un interessante nastro, da poco ristampato su vinile
(Classe Differenziale).
Nel 1986, rigorosamente autoprodotto, esce il LP "Fase
di Rigetto", ricco campionario di suoni e immagini
metropolitane: finalmente un progetto che non vuole solo "scaldare
gli animi" o far battere il piedino, bensì comunica con
linguaggio crudo e disincantato la rabbia e l'insofferenza per le molte
piccole-grandi ingiustizie che siamo quotidianamente costretti a subire.
Nelle dodici tracce, voce e strumenti dialogano, eseguendo intricati
ghirigori musicali dai ritmi spezzati, in un clima prevalentemente teso
e claustrofobico, ansioso, fortemente emotivo. Del 1987 è il LP "Gronge
& Move", spartito a metà con un'altra band romana,
mentre lo scorso anno i Gronge sono comparsi con tre brani nella compilazione
di Amen "La
nave dei folli".
In queste
prove, parimente consigliabili, il gruppo ha messo in lucesoprattutto
un'attitudine istintiva e aperta, nell'uso di strumenti "poveri"
e tradizionali, e una linea rigorosa nelle scelte pratico-teoriche,
per quanto riguarda il significato e l'uso sociale del prodotto-musica.
Era dal tempo degli Area (senza dimenticare Franti,
a cui i Gronge sono stati spesso paragonati, per affinità "militante"
più che stilistica) che da noi certe cose non erano dette in maniera
così chiara ed efficace.
Il rifiuto
delle mistificazioni e dei meccanismi di "divismo" che stanno
dietro anche ai fenomeni musicali più sotterranei, nonché la volontà
di indirizzare l'interesse del fruitoreesclusivamente sulla proposta
sonora, ha indotto i Gronge a non stabilire con precisione sulla carta
nomi e ruoli dei componenti. In un recente concerto, per la rassegna
ternana "Elementi Variabili", si sono presentati sul minuscolo
palco in tredici, suonando fra l'altro vecchi termosifoni e ogni cosa
a portata di mano, con una gestualità e un'irruenza che chiama alla
mente gli happening dei Dilettanti Geniali berlinesi (anche
se qui l'aspetto tribale-percussivo non è mai preponderante). Configurata
come un "collettivo" più che secondo una tradizionale line
up, ovvero con prestazioni anche temporanee di amici e non-musicisti,
della famiglia Gronge va menzionata ugualmente Tiziana Lo Conte
quale voce tagliente ed espressiva, cifra distintiva dell'intero repertorio.
Marco Bedini e Alessandro Denni rappresentano
il cuore ritmico e la mente organizzatrice del progetto, la sassofonista
tedesca Inke Küll ne costituisce l'anima jazz, il chitarrista
Paolo Taballione (già nei Carillon del Dolore
e Christian Death) porta il suo contributo di linfa rock, completano
in ordine sparso l'organico vecchi e nuovi collaboratori come Michele
Frammolini (chitarra), Enzo Caruso
(basso), Piero Finocchi, Fabrizio Sibilia,
Alessandro Bedini, Roberta Strano,
Massimiliano Di Loreto (ne ho certamente dimenticati
molti).
Ciò che segue
è la sintesi di una lunga e un po' caotica chiacchierata condotta "a
distanza". Spero di aver identificato correttamente voci e spunti
di un qualche interesse.
Con
quali obiettivi sono nati i Gronge?
Marco:
Prima, con l'entusiasmo dei vent'anni, vedi il gruppo come una prospettiva
esaltante, ti basta suonare, con una carica che può essere sicuramente
positiva ma non è mirata, non è che ti prefiggi dei punti di arrivo.
Per me, fondamentalmente, è stato scoprire che si poteva stare fuori
da casa dalle nove alle undici con un altro motivo che non fosse dover
andare al muretto o a far altre cose del genere.Alessandro:
Io prima facevo disco music, altri suonavano r'n'r, i Gronge sono stati
un mezzo per esprimere meglio la nostra situazione reale.
Come
giudicate a quattro anni di distanza la vostra prima cassetta "Classe
Differenziale"?
Marco:
Se la ascolti è ancora abbastanza attuale, ecco perché al momento i
Gronge non vengono capiti, c'è uno scarto di quattro anni!
Alessandro: Penso sia la cosa più fresca che abbiamo fatto,
si sente che suonavamo assieme solo da tre mesi, si avvertono meglio
le nostre esperienze precedenti, giri e ritornelli, cose che poi abbiamo
abolito.
Marco:
Mi pare che ogni pezzo abbia costituito poi un faro per tutti i brani
seguenti di quel tipo. "Grido chimico" ha rappresentato la
parte ipnotica, di situazione. "Giorno fatale" la parte tirata
ma continuamente intercalata da soluzioni strane, come "Scenografia
di un teatro immaginario". "S.A.D.C." e "Graffiti"
sono i brani con struttura più andante, più rockettari. In un certo
senso "Classe Differenziale" è il nostro "papà".
Venite
spesso definiti un "gruppo politico" solo perché trattate
di argomenti concreti e quotidiani, non dovrebbe piuttosto meravigliare
il fatto che la stragrande maggioranza dei gruppi rock affrontino temi
stereotipi e puerili?
Marco: Non esiste una canzone che non sia politica, da quando
esiste la storia della musica, a maggior ragione quando non si parla
direttamente di politica. Il fatto è che l'arte si è spostata alla periferia
del sistema sociale, non è più importante come nei secoli andati. Oggi
il musicista è molto più intrattenitore, molto più buffone di quanto
poteva essere un giullare di corte. Proprio perché si è andato perdendo
il senso, il significato di fare musica. Se tu in lirica esprimi una
protesta sociale come ha fatto Luigi Nono con "La fabbrica illuminata"
col testo di Pavese, se tu ti esprimi con quella forza, con quella penetrazione,
il tuo messaggio, la tua arte si mantiene gravitazionalmente vicina
al centro del sistema. Mentre invece se lo dici con la leggerezza, la
trascuratezza, la banalità che può essere quella di un Paoli, un Baglioni,
un Venditti, ecco che tutto il peso si sposta al margine. Apparentemente,
la velocità con cui viaggiano oggi le informazioni è un vantaggio rispetto
ad altre epoche, però questo vantaggio si perde perché chi usa questi
mezzi di comunicazione sono sempre gli stessi, devi sempre avere i soldi,
il controllo...
So che
non amate apparire in foto promozionali, non esiste una maniera di mostrarsi
senza diventare automaticamente "prodotto-oggetto"?
Alessandro:
Da parte nostra c'è stato un recente cambiamento rispetto a questa cosa,
diciamo che ci abbiamo messo tre anni per fare una foto "consapevolmente"...
Marco: Non siamo contrari all'immagine di per se, siamo contrari
all'immagine "stronza". Sappiamo che i media richiedono un
certo tipo di foto carine, ma potremmo anche farne una in cui siamo
in venti, o fermare delle persone per la strada, farle mettere in posa
e poi distribuire la foto ai giornali: ecco i Gronge! Nella foto per
Rockerilla si vede solo Inke, non perché sia la più importante del gruppo,
ma perché l'immagine ci pareva esprimere qualcosa. Di volta in volta
puoi decidere di diversificare il solito piattume di proposizioni.
I brani
sono firmati da Alessandro Denni e Marco Bedini, come si inseriscono
tutti gli altri in fase di composizione?
Alessandro: Io e Marco siamo iscritti alla SIAE, ed è quindi
solo per motivi fiscali-burocratici che appaiono i nostri nomi. I pezzi
li creiamo tutti assieme, solitamente da una idea di base su cui ciascuno
ha la massima libertà di mettere quello che gli pare.
Perché
titolare il vostro nuovo LP "A
Claudio Villa"?
Marco: Villa piaceva ai nostri padri, credo, per cui ci è sembrato
doveroso un omaggio, non è una presa per il culo e non è una mossa scandalistica,
è un riallacciamento al passato.
E' stato
registrato in condizioni più favorevoli, rispetto ai precedenti dischi
autoprodotti?
Marco: Il disco è completamente nostro, suonato e prodotto
da noi. Siamo passati da un walkman a un 24 piste, da 1 millimetro a
due pollici del nastro, l'ottimale sarebbe comunque una sala di registrazione
autonoma.
Alessandro:
Se non ci fosse stata questa fantomatica Zounds Records, non saremmo
riusciti a far uscire un nuovo disco in questi tempi, magari dovevamo
aspettare un altro anno.
Marco: Credo che ancora non sappiamo lavorare in studio, manca
fra noi l'elemento capace di impostare il lavoro. Personalmente, preferirei
lavorare in modo diverso, in diretta, non registrando una traccia per
volta. E non entrare in studio con brani già pronti, ma con spunti da
elaborare.
Paolo: Mi pare che siamo comunque riusciti a tradurre l'energia
che abbiamo dal vivo, anche in quella situazione. Erano tre anni che
non entravo in studio, e per me non è stato semplice. Forse i suoni
del disco non sono esattamente ciò che intendevamo, ma è un passo avanti
rispetto a quanto fatto prima.
Un giudizio
in breve della scena italiana: le responsabilità per le attuali carenze,
come le dividereste fra pubblico, discografici, media musicali e musicisti?
Alessandro: Penso che quanti tentano di sfruttare questa scena
per ricavare ventimila lire siano i peggiori...
Marco: E anche i più stupidi, vogliono fare due soldi adesso
da una situazione che ancora deve nascere. Noi abbiamo venduto mille
copie da soli dei nostri dischi, e dicono che ci è andata anche bene.
I piccoli etichettari si mangiano una palla di pongo convinti che sia
di pollo.
Alessandro: Chi paga è solo il gruppo, che dopo quattro anni
non ha i soldi per farsi un manifesto, mentre le riviste in fin dei
conti si vendono, lo studio lo devi pagare, se mancassero i musicisti
questa gente come camperebbe?
Esiste
ancora un "movimento" (di idee, di aspirazioni) in qualche
modo collegabile al rock, oppure si tratta solo di illusioni covate
da pochi cani sciolti, e il rock incarna soltanto una rivolta fisica-epidermica
(per cui un gruppazzo metal o l'ultima novità underground non fa differenza)?
Marco: Il movimento per eccellenza si ha quando c'è un contrasto
di idee, idee in movimento che scivolano una verso l'altra, che hanno
un fulcro su cui girare attorno. A me sembra che nella maggior parte
delle persone, in ambito non solo rock-jazz-chiamalo-come-ti-pare, non
si siano stimoli, non c'è nè fulcro nè mezzo nè idea. Ci sono dei paraocchi,
dei paraorecchie e paracervello che ti danno la sicurezza matematica
di ciò che andrai ad ascoltare o ciò che ti andrai a mettere addosso.
Alessandro:
Per il 95% della gente la musica non è vissuta come necessità sociale
o che, ma solo come momento di divertimento. Se guardi Videomusic, cinque
minuti ci sono gli Europe, cinque minuti dopo i Joy Division, poi un
gruppo metal, non c'è alcun processo attivo in tutto ciò.
Qualcosa
da aggiungere?
Marco:
Non ci piacciono le interviste, anzi, vorrei fare un'intervista a un
intervistatore, o meglio, vorrei recensire le critiche discografiche,
non scherzo, sarebbe il sogno della mia vita!
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