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Sezione Articoli
Titolo Vivere è bello e la vita è bella...
Rivista Rumore [n.17/18 - luglio/agosto 1993]
Autore Claudio Galuzzi
Contenuto

"Vivere è bello e la vita è bella. Lui stava in terra e pensava che la vita è bella. Bella per qualcuno, ma per altri è una rottura di palle. Vivere è bello e la vita è bella!"

Cosi si chiude la poesia di Vladimir Vysotskij, ripresa e musicata dai Gronge sul loro ultimo album
Teknopunkabaret (è la storia di un pugile, un pugile sentimentale che mentre sta a terra…), e come sempre per il gruppo romano anche questa volta la metafora funziona a meraviglia: per loro e naturalmente anche per noi, visto che sapere i guantoni oggi è più che un'esigenza. Incontro la famiglia Gronge attorno a un tavolo circolare (è già qualcosa); agguerriti, teneri, determinati, disponibili. Cominciano le schermaglie.

Con il vostro ultimo disco siete arrivati all'autoproduzione "seria", dando vita addirittura a una piccola casa discografica (la Gronge Lab), un progetto che perseguivate da tempo mi sembra.
"Già in passato abbiamo adottato questa formula. Ora ci siamo tornati con ancora più convinzione per diversi motivi. Il primo e il più importante per avere il totale controllo sul prodotto finito; in secondo luogo per cercare di rafforzare il discorso della distribuzione. Per Teknopunkabaret ci siamo affidati alla Wea."

Solo per la distribuzione.
"Si, solo per la distribuzione è chiaro. Comunque la Gronge Lab è un progetto che pian piano si sta concretizzando, con grande soddisfazione di tutti noi."

Mi ricordo che circa un paio di anni fa mi parlaste appunto di un progetto del genere, un'etichetta che vi garantisse il controllo del prodotto. Ma, a parte il vostro materiale, l'etichetta ha intenzione di allargare anche ad altri gruppi e realtà?
"E' chiaro, ora siamo partiti con il nostro lavoro. Ma la cosa nelle intenzioni non può che essere aperta, aperta il più possibile a gente vicina per spirito o che ci interessa particolarmente. Ci sono già materiali, vedremo con calma in futuro."

A proposito di aperture: ogni volta che ci incontriamo ci sono persone nuove nel gruppo, due tre quattro. Lo so che siete un gruppo "aperto", ma non vi sembra di esagerare un po'? (risate generali)
"Siamo un gruppo puttana? Forse. Fatto sta che, tra le altre cose, l'avere una struttura così aperta come tu dici ci permette di fare lo spettacolo in qualsiasi luogo e condizione. Ad esempio stasera abbiamo suonato senza il bassista (perché malato) e nessuno se né accorto. Questo per dire che ci siamo inventati lo spettacolo con una persona in meno, uno strumento in meno. Cambiando le pause, i ritmi, e tutto quel che occorreva cambiare per far sì che il concerto reggesse."

Sul palco siete in tre, in realtà tra luci, diapositive, costumi, maschere, siete in nove al lavoro su uno spettacolo. Non vi crea problemi ogni tanto?
"Se ti riferisci all'aspetto logistico è chiaro che non tutti i posti sono uguali, ma abbiamo un forte spirito di adattamento."

No, più che altro mi riferivo al fatto che per l'ascoltatore medio di un concerto rock assomigliate più ad un gruppo teatrale, visto che mischiate e mettete in campo diversi linguaggi e diverse tecniche.
"Credo che questo faccia parte del nostro stile, del nostro lavoro. Del resto non è da adesso che lavoriamo sui diversi piani dell'immagine, del suono e della recitazione. Non ci è mai bastata la musica da sola."

Aggiungerei la poesia. Spesso i vostri testi sono poesie musicate o pezzi letterari scelti con cura (tanto per restare solo all'ultimo disco: la poesia di Vysotskij, il pezzo tratto da WKHY di Renato Curcio, la poesia del palestinese Muem Bsyco), con così grande cura che poi ogni disco va a coagularsi attorno ad un tema. Volete parlare del tema che sorregge Teknopunkabaret?
"L'unica forma concettuale che sta sotto all'ultimo disco è quella di aver identificato il lavoro con uno stile ben preciso, cosa che non è mai successa per i Gronge; cioè abbiamo teso, fin dal titolo, a rappresentare filologicamente (nel vero senso della parola) tutto ciò che i Gronge sono attualmente, o almeno erano fino a che il disco è stato portato a compimento. Nel frattempo infatti siamo anche cambiati. Questo per dire che il tema dell'ultimo disco è già tutto nel titolo: due parti di tekno, due parti di punk e una di kabaret. Poi, tutto ciò che non si esprime su un disco o in un concerto si può esprimere a parole, ma ci vorrebbero molte pagine di giornale prima di riuscire ad esaurirlo."

Musicalmente parlando mi sembra che vi siete molto spostati sul campionamento dei suoni.
"Tutto quanto risente sempre di un fattore di trasporto, innanzitutto; della ricerca e degli stimoli che hai in determinati periodi. Poi c'è il discorso logistico del concerto e del fatto che non sempre è consentito al gruppo di esibirsi al massimo delle sue presenze. In questo modo, usando le macchine, noi possiamo fare spettacoli in cinque o in dieci senza dover rinunciare a nulla del nostro suono."

E' un impressione o state cercando (Teknopunkabaret è molto più semplice ed essenziale nelle lingue musicali portanti dei lavori che lo hanno preceduto) di scrollarvi di dosso quell'infame appellativo, gruppo ostico, che vi è stato affibbiato a torto fino a ieri?
"Si, dipende dal percorso, dal periodo, dalle nuove entrate nel gruppo. Dal fatto che forse si sta cominciando a sbrogliare la matassa e che c'è forse un esigenza di parlare chiaro. Non lo sappiamo, sono cose che succedono, esigenze che si manifestano. Modi diversi di vedere la musica, l'atto compositivo in sé per noi è molto cambiato. Poi c'era una grande voglia di mettere insieme il sequencer e gli strumenti tradizionali, alla nostra maniera naturalmente."
E' una parte del percorso che sicuramente, comunque, non si è esaurita qua.